L’identità non è immutabile ma in continua trasformazione poiché è un processo psichico che interessa tutto il ciclo di vita. Ha inizio con la necessità del bambino di essere soddisfatto nei suoi bisogni primari fino a raggiungere un sentimento di integrità e completezza durante la vecchiaia.
L’identità ci fa sentire costanti nella percezione di noi pur all’interno di sensazioni, che cambiano nel tempo, in relazione alle esperienze che viviamo.
L’identità risponde alla domanda “chi sono io?” ed ha origine dall’esperienza corporea che il bambino vive stando a contatto con la madre. Grazie quindi alle cure materne e alla sua capacità di empatizzare il neonato può godere di un benessere psicofisico.
In adolescenza, poi, il processo identitario diventa più complesso poiché i rapidi cambiamenti dei miti affettivi, sociali e culturali, a cui tutti noi oggi assistiamo, coinvolge totalmente il ragazzo, la ragazza che deve affrontare necessariamente i compiti evolutivi: la mentalizzazione del corpo sessuato, il processo di separazione-individuazione, la nascita del Sé sociale – integrando le esperienze vissute nel gruppo dei pari, in ambito sportivo e scolastico – la costruzione di nuovi valori, che diventeranno punti di riferimento per scelte ed azioni individuali.
Parlare di identità significa quindi comprendere il grande lavoro trasformativo che l’adolescente deve fare tra nuove acquisizioni e fallimenti di sé in un’oscillazione emotiva, di tipo evolutivo.
Se questo non avviene l’adolescente, ha la percezione di rimanere indietro, di essere in ritardo e di non riuscire più a recuperare. È come sentire di non avere più chance verso il futuro rimanendo in balia di paure e di un profondo senso di umiliazione.
Invece “Crescere è sentire la paura di fare qualcosa di grande e decidere che quella paura non ti fermerà e che arriverai a conquistare ciò che sembrava così temibile”. (Pellai, 2023)
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